Storia della suora italiana sopravvissuta a Hiroshima

Immagine creata con intelligenza artificiale 

Dal cielo color magnesio a una vita di servizio: la storia della suora padovana che sopravvisse a Hiroshima

C’è un angolo di Hiroshima in cui, l’estate del 1945, si confondevano preghiera e paura, fede e distruzione. E c’è un nome che, fino a poco tempo fa, era rimasto in silenzio nel grande libro della memoria collettiva: suor Marie Xavier, nata Eleonora Saccardo Rasi, padovana, sopravvissuta alla bomba atomica e testimone silenziosa di un inferno diventato carne.

Eleonora nacque a Padova nel 1905, in una famiglia dalla profonda vocazione culturale e scientifica. Il nonno materno era Pier Andrea Saccardo, insigne botanico e prefetto dell’Orto Botanico dell’Università, mentre la madre, Giuseppina, ne portava l’eredità spirituale. Il padre, Pietro Rasi, contribuì alla formazione di una giovane donna acuta e sensibile. A diciassette anni, Eleonora prese i voti nella congregazione delle Suore Ausiliatrici delle Anime del Purgatorio, scegliendo il nome di Marie Xavier in onore del grande missionario Francesco Saverio. Il suo destino era già legato all’Oriente.

Negli anni Trenta, quando il mondo era ancora lontano dal sospettare le devastazioni del secondo conflitto mondiale, suor Marie partì per il Giappone. Era il 1936. Venne destinata alla comunità di Kusunoki‑chō, nei pressi di Hiroshima. Insegnava, curava, si prendeva cura dei più fragili. Era lì, la mattina del 6 agosto 1945, quando il cielo sopra la città cambiò colore.

“Il cielo è diventato verde, blu come quando si fanno le fotografie al magnesio.” Così descriverà il momento in una lettera indirizzata alla madre superiora, pochi mesi dopo la tragedia. Quel giorno suor Marie stava stendendo la biancheria nel cortile del convento, quando udì il ronzio di un solo aereo. Era l’Enola Gay. Sentì le sirene, intuì che qualcosa stava per accadere. I suoi gesti furono rapidi, quasi istintivi: richiamò le consorelle e si rifugiò nel convento. L’aria divenne rovente, il piccolo stagno vicino alla statua della Madonna evaporò all’istante, le finestre saltarono, i tetti volarono via.

Il convento, benché danneggiato, resistette abbastanza da salvarle la vita. Lei stessa attribuì quel rifugio repentino a “un’ispirazione del Buon Dio”. A tre chilometri dall’epicentro, suor Marie sopravvisse a quella che per centinaia di migliaia fu la fine di tutto.

Ma per lei fu l’inizio di qualcosa d’altro. Nonostante i primi sintomi dell’esposizione — perdita di capelli, debolezza, affaticamento — suor Marie non si fermò. Uscì tra le macerie, insieme ai gesuiti guidati da padre Pedro Arrupe, per aiutare chi era rimasto. Non c’erano medicine, non c’erano ambulanze. C’erano le mani, la voce, la preghiera. C’erano corpi ustionati che si trascinavano verso il fiume per placare il fuoco che sentivano sulla pelle. Alcuni si tuffavano e morivano lì, nell’acqua contaminata. La città era un inferno aperto, e suor Marie camminava tra le rovine con la discrezione e la forza di chi crede nel valore di ogni gesto.

Nei mesi successivi, la sua figura attirò l’attenzione del giornalista Virgilio Lilli, uno dei primi occidentali a entrare nella zona bombardata. Lilli raccontò l’incontro con suor Marie nel suo libro Penna vagabonda, pubblicato nel 1946: “Era una piccola monaca dai tratti fini, la voce gentile e la determinazione dei santi.” Dalle sue parole, Lilli ricostruì l’esplosione attraverso gli occhi di chi aveva visto i colori impazzire nel cielo, sentito il suolo vibrare, raccolto la pelle che si staccava dai volti.

La testimonianza di suor Marie non cercava fama. Fu Lilli a comprenderne la potenza narrativa e spirituale. Le sue parole vennero riportate con profondo rispetto, e contribuirono a fare della religiosa padovana una testimone credibile e umana della tragedia atomica.

Suor Marie restò in Giappone fino al 1961. Curò gli hibakusha, i sopravvissuti alla bomba, li accompagnò nei lunghi percorsi di cura, sopportò con loro il peso dell’irradiamento, fisico e psicologico. Poi, rientrò in Italia. A Sanremo, dove visse fino alla fine, si prese cura della sorella sorda, aiutò i bambini, gli anziani, i poveri. Continuò a essere quella che era sempre stata: una donna nascosta ma instancabile. Morì nel 1994, in silenzio, senza mai aver cercato un riconoscimento pubblico.

Solo di recente, la sua figura è stata riscoperta. In occasione dell’80° anniversario della bomba atomica, il Comune di Padova e il Dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 6 Euganea hanno deciso di onorarla pubblicamente. A dicembre 2025, durante una plenaria istituzionale, suor Marie Xavier riceverà un riconoscimento postumo come simbolo di pace, cura, dignità e servizio umanitario. Un gesto che restituisce alla città la memoria di una sua figlia che, dall’altra parte del mondo, fu testimone di uno degli eventi più devastanti della storia — e che, invece di fuggire, restò. A curare, a consolare, a credere.

Per approfondimenti

Articolo di Vita.it sulla suora padovana sopravvissuta a Hiroshima

Articolo del Corriere del Veneto: “Marie, la suora padovana che riuscì a sopravvivere all’atomica”

Articolo di La Piazza Web sul riconoscimento 2025 a suor Marie Xavier

Articolo di Difesa del Popolo: “Una voce gentile rompe il silenzio color magnesio”

Articolo della Tribuna: “La storia della suora padovana sopravvissuta alla bomba”

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Pubblicato da mottopodcast

Sono laureato in Lingue e Civiltà Orientali presso l’università Ca’Foscari di Venezia con specializzazione in Letteratura Giapponese. Sono un blind judoka e come atleta sono 2 volte vice campione italiano Fispic e vincitore del premio Natale dello Sportivo a Venezia nel 2018. Mi occupo di divulgare l’inclusività sportiva. Mi sono lanciato nel mondo del podcasting per raccontare storie incredibili e stimolare tutti a realizzare i propri sogni!

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